Le Virgole, un appuntamento estemporaneo fra chi ama scrivere e chi ama leggere.


Sono Calabrese di Kroton.
Vivo nella casa che costruì il mio bisnonno, davanti al mare, proprio al confine tra la sabbia e la terra di “Acaia” coltivata dagli Achei a cominciare dall’ottavo secolo Avanti Cristo; forte, scura, generosa di viti e di noccioli.
La casa è tutta a pianoterra, lunga distesa come una “masseria”, però senza granaio. E’ rimasta praticamente come l’aveva pensata e costruita il mio avo. E’ fatta di tre camere, la cucina, il locale per le provviste e le salamoie, due bagni con wc alla turca provvisti di grandi vasconi di pietra per lavarsi, la grande rimessa per il ricovero della barca, le reti, gli attrezzi da pesca e di ogni altro genere. 
Aveva due grandi entrate ad arco con robuste porte di castagno, una a monte dove c’era il grande orto, e l’altra aperta verso lo Jonio dove si svolgeva l’attività marinaresca. Dico “aveva”, perché al posto degli orti ora c’è la “provinciale” già tracciata ai tempi di mio padre con il doloroso esproprio della terra. In conseguenza di ciò, lui aveva deciso di murare, dal lato della casa esposto al traffico, sia la porta di entrata che le finestre.

Sono…Ero un pescatore come il mio bisnonno, mio nonno e mio padre.
Loro hanno fatto ciascuno un solo figlio da tramandare al mondo, io neanche quello e sono l’ultimo, e sono solo da quando mio padre se n’è andato in pace, in fretta e con un sorriso stampato sulla sua bella faccia abbrustolita dal sole e dal sale, perso nei suoi pensieri, mentre guardava un sanguinoso tramonto di primavera dopo una lunga giornata di pesca miracolosa! Un infarto sicario lo aveva stroncato senza remissione!

 Al mare devo tutto : la mia vita, la mia forza, la mia gioia, la mia fatica, la mie lacrime, le mie bestemmie! Amore e odio…e timore, tanto timore, per quella “femmina” gelosa e dispettosa! Più amore però, odio poco, quasi niente…Niente!
Io e il mare eravamo una cosa sola. Insieme sempre dall’alba al tramonto, dal tramonto all’alba a lottare alleati, talvolta contro. Esattamente come succede nel mondo animale. Certe volte, quando la fatica diventava insopportabile e pensavo che, in fin dei conti, non valesse poi così tanto la pena resistergli, gli urlavo in faccia con tutta la rabbia che avevo in corpo:
– E allora prendimi cazzo! E facciamola finita, che aspetti…
A quel punto lui si quietava quasi all’improvviso, come se io l’avessi guarito all’istante da un attacco di devastanti convulsioni febbrili, spargendogli sul petto dell’abbondante olio balsamico tiepido.  Mi consentiva di rifiatare, boccheggiante, cinque minuti sul fondo della barca e mi faceva tirare su la rete ricca del mio sudore e della sua bisbetica generosità.
Io allora capivo quanto anche lui, a modo suo, mi amasse! Voleva solo mettermi alla prova, come un’amante gelosa! Per questa ragione ho avuto poco spazio e poco tempo nella mia vita per amare, come si deve, anche una donna.

“Lui” aveva pure deciso quando era arrivata l’ora che smettessi di solleticarlo con la mia prua, perché mi giudicava ormai troppo vecchio e troppo debole per reggere anche soltanto le sue “bonacce”.
Ero rientrato da una “battuta” pomeridiana per la verità alquanto scarsa, e avevo agganciato il cavo all’anello di poppa per tirare la barca in secca sulle guide di legno ben ingrassate. La barca aveva guadagnato solo qualche metro di spiaggia, quando il motorino dell’argano aveva pensato bene di bruciarsi!
– Poco male – avevo brontolato con rassegnazione.
“Lui” era piatto e fermo come una tavola e avrei provveduto alla riparazione l’indomani all’alba, prima di salpare. Ora dovevo preparare le cassette col pescato e portarle al grossista in città.  
Mi ero sbagliato di brutto!
In piena notte ero stato svegliato dal sibilo del vento di burrasca e dal “suo” spaventoso ruggito. Il mio primo e unico pensiero era stato: la barca è andata! Rassegnato, stranamente in pace, mi ero girato dall’altra parte e avevo continuato a ronfare.
L’indomani non ero più un pescatore!
Neanche un rottame della mia splendida e fedele “Adelina”, meglio così.
“Lui” aveva voluto evitarmi la visione dolorosa dello scempio!
Portava il nome di mia nonna la barca che mio padre, per una serie di complicate combinazioni, si era procurata in Liguria da uno degli ultimi maestri d’ascia di Monterosso al Mare, la prima delle Cinque Terre partendo da ponente. “Adelina” era un magnifico gozzo ligure entrobordo di trentaquattro palmi, otto metri e mezzo. Ben tenute, quelle barche, durano un’eternità. Ma era andata così. Amen!
Da quella notte il mare lo ascolto, gli parlo, lo stuzzico con la mia talentuosa canna a lancio, lo respiro, lo ammiro, mi immergo nei suoi freschi misteri, mi avvolgo nella sua pelle. Insomma, continuiamo ad amarci con lo spirito pacificato oppure, non so se sia più appropriato dire, “nella pace dei sensi”…

La notte scorsa pensavo di essere nel bel mezzo di un sogno che è diventato ricorrente negli ultimi tempi. Dicono che quando si invecchia si tende a sentire nel sogno la voce dei propri morti.
Per l’appunto quella notte sentivo urlare delle voci che somigliavano a quelle di mio nonno e mio padre senza, tuttavia, percepirne il significato.
– Cosa dite – urlavo a mia volta – fatemi capire!
Nel sonno profondo sentivo il cuore battere forte, respiravo a fatica, avvertivo un pericolo latente.      
– Svegliati! – mi suggeriva il subconscio, mentre le voci mi trapanavano i timpani…
Finalmente sveglio! Esco dall’incubo… ma no! Sento ancora quelle voci strazianti. Sono maledettamente vere ora! Voci roche di uomini, stridule di donne e di bambini!
All’improvviso capisco! Balzo dal letto!

Già corro scalzo sulla sabbia fredda e umida verso l’acqua buia da dove provengono le voci, smorzate a tratti dal fragore dalle onde che si spezzano sulla spiaggia. Mi accorgo di non essere solo, una piccola folla corre insieme a me.
– Facciamo presto – mi dice una mia vicina di corsa – c’è gente in mare che chiede aiuto! –
Sorrido di traverso. Mi dava la notizia come se si rivolgesse a un ignaro turista un po’ stravagante intento a fare jogging in piena notte, scalzo e in pigiama! Istintivamente accelero l’andatura.
Alcuni già si tuffano nelle acque agitate e nuotano vigorosamente verso i fratelli in pericolo.
Formiamo spontaneamente, senza dirci una parola, una catena umana.
Io sono un “anello” immerso nell’acqua fino al petto.
Tante mani tremanti, stremate si afferrano alle mie in un ultimo disperato sforzo verso la salvezza.      Mani dure e callose di uomini, morbide di donne, minute e tenere di bambini.
Tutte quelle mani mi trasmettono, allo stesso tempo, vibrazioni di paura e gratitudine!
Sono frastornato dall’emozione, con gli occhi che mi si appannano di lacrime!

La spiaggia è ora disseminata di corpi ansimanti.
Bisogna portarli al riparo, al caldo, bisogna curarli, presto! Arrivano i soccorsi, tempestivamente.
Sono stanco e ho un freddo boia. Con il pigiama grondante… Se in testa avessi un cappellaccio di paglia rosicchiato dai topi, potrei essere scambiato per un perfetto spaventapasseri, come quelli che i contadini del nord Italia mettono nei  campi di mais!
Ma sono felice di quella pesca preziosa. Sono felice per me, orgoglioso dei miei compaesani.

Mentre mi avvio verso casa do un’occhiata verso quella spumeggiante semioscurità che ricambia con un veloce baluginio più intenso:
– Ma che cavolo di pesci mi hai portato stanotte? – Mormoro ridacchiando come un ebete.
– Beh – mi sembra di sentire la “sua” solita voce grave e gorgogliante di quando ha da dirmi qualcosa di fondamentale – sai che ti dico? Che sono fiero di te! Bravo, ti sei comportato bene, e anche gli altri. Avete rispettato la mia legge che ho trasmesso agli uomini e che adesso è la legge degli uomini, di tutti gli Uomini. Chi non la rispetta, o non la fa rispettare, non è degno di definirsi Uomo! –

Mi avvio a capo chino verso casa.
Non mi sento più tanto felice, anzi, sono incazzato e neanche tanto fiero di stare in un mondo che non sa, o non vuole trovare rimedio a tanta miseria, a tanta paura, a tanta disperazione! Per il resto, l’ho sempre pensata esattamente come “lui”, che la “sua” legge dovrebbe essere la legge di tutti gli uomini. Uomini
Ma adesso ho bisogno urgente di un bagno caldo che mi rimetta in circolazione il sangue prima di diventare uno stoccafisso norvegese rinsecchito! Quando sarà tempo, ho intenzione di chiedere alle Autorità il permesso di prendere con me tre di quei fratelli, magari una coppia con un bambino. Chissà, si potrebbe comprare una nuova barca da pesca e rinverdire la tradizione di famiglia. Sarà come se avessi fatto anche io un figlio da tramandare al mondo, e un’altra creatura da educare alla “legge del mare” per una umanità migliore! Senza contare che non sarei più solo e potrei, con il tempo, sentirmi pure chiamare “nonno”. Chissà!

Sono Calabrese di Kroton, sono un Uomo e non ho paura di chi bussa alla mia porta!


Francesco Staglianò dalla natia Calabria si trasferisce adolescente a Genova, dove attualmente vive. Dopo gli studi di Scienze politiche, ha esercitato l’attività di dirigente politico in Enti cittadini e ha lavorato presso la Banca Carige. Dal 2010 si dedica assiduamente alla scrittura ottenendo una serie di riconoscimenti e l’inserimento dei suoi brani poetici e dei suoi racconti in diverse antologie nazionali. Ha pubblicato romanzi; raccolte di racconti e raccolte di poesie. Con questo racconto ha ottenuto  il terzo posto nella settima edizione del concorso Incrociamo le penne del 2022.

NOTA DELLA SEGRETERIA DEL CONCORSO: Nella notte fra il 25 e 26 febbraio 2023 un caicco partito dalla Turchia e con a bordo almeno 180 migranti fece naufragio a poche decine di metri dalla costa di Steccato di Cutro, in provincia di Crotone. A soccorrere per primi i naufraghi furono due pescatori del luogo, che sentirono il frastuono del disastro e le grida di chi era in difficoltà. Ad oggi il tragico bilancio è di 94 morti accertati, oltre a un numero imprecisato di dispersi. Il racconto di Francesco Staglianò potrebbe sembrare la cronaca di questa tragedia, ma è pervenuto alla segreteria del Concorso il 24 gennaio 2023, esattamente un mese prima.


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