Le Virgole, un appuntamento estemporaneo fra chi ama scrivere e chi ama leggere.


L’ultima sera
Sono solo, davanti ai miei libri, davanti a loro per l’ultima volta, non mi faccio illusioni, il volto del medico era assai più eloquente di una qualsivoglia parola, d’altro canto la mia età, ottantasei anni, non gioca certo a mio favore, domani mi ricovero in ospedale per accertamenti ad un polmone, la parola accertamenti è un buffo, garbato eufemismo, so benissimo che cosa ho e quanto poco mi resti da vivere. Eccola, al secondo ripiano della libreria in bella vista, l’opera completa di  J.L. Borges subito sotto la  vasta raccolta monografica di personaggi storici, è lì a portata di mano ma per me è oramai irraggiungibile, questa sera non riesco neppure ad alzarmi dalla poltrona, un’infinita stanchezza mi opprime.
Che dire poi del Profeta di Khalil Gibran, le sue parole come poche altre hanno commosso la mia anima perché  hanno saputo toccare e muovere la parte più profonda e sensibile della mia umanità.
Ancora Balzac, Verga, Victor Hugo e i sogni allucinati di Kafka accanto al garbato e delicato tempo di Rabindranath Tagore.
La settimana scorsa ho dettato le mie ultime volontà, non tanto per i beni materiali: in realtà ho dato precise disposizioni affinché i miei libri abbiano la destinazione che io desidero, colui che li avrà in dono, ne saprà apprezzare appieno lo straordinario valore.
A proposito in questo momento penso al nome con cui verrò ricordato: Gabriel Gamper nato in Sudtirol a due passi da Bozen, che assurdo pensiero, come se avesse ancora una qualche importanza l’eco di un nome mischiato a tanti altri nel vortice del tempo, non posso esimermi dal mostrare al mondo un sorriso sinistro e beffardo.

Cinque giorni dopo
Usciti dal notaio mia sorella e io ci siamo guardati negli occhi, neanche una parola ma il sollievo era palese sui nostri volti, alla morte di papà, dopo due giorni a funerale avvenuto, eravamo stati convocati dal notaio Marcus Grossman per presenziare all’apertura del testamento di nostro padre, testamento di cui non eravamo assolutamente a conoscenza.
Con la morte nel cuore ci eravamo accomodati nello studio del notaio, la mattinata era trascorsa tra le illazioni, anche le più improbabili (un amante, un figlio segreto) che potessero dar conto di questa estrema “sorpresina” paterna.
Invece, frase dopo frase, il cielo cupo sopra la nostra testa è andato via via rasserenandosi: le disposizioni testamentarie riguardavano solamente i tanto amati libri di papà, al che un unico gioioso muto pensiero condiviso tra noi due, “ma chissenefrega dei libri”.
Ha diviso la sua notevole biblioteca con teutonica precisione tra alcuni rivenditori di libri usati da cui era solito rifornirsi (aveva la mania, chissà poi perché, di acquistarli usati), la più parte però è andata ad un libraio in St. Jakobs Platz tal Aaron Rosenthal.

Aaron Rosenthal
Non ringrazierò mai a sufficienza la memoria del mio caro amico Gabriel per l’onore che mi ha concesso nel donarmi quasi tutta la sua collezione, sono sinceramente commosso nonché stupito, so quanto teneva ai suoi libri.
E’ vero abbiamo passato molti pomeriggi a conversare di letteratura, d’arte, del nostro passato, gli ho persino narrato (cosa che non faccio mai) la tragica fine della mia famiglia  a Birchenau io unico sopravvissuto di due fratelli maschi e una sorella oltre ai genitori, ma non avrei mai immaginato di diventarne erede testamentario, questo proprio no.
Il primo giorno ho aperto tre scatoloni, oggi pomeriggio mentre sono alle prese con il quarto interamente occupato da libri di storia contemporanea mi capita tra le mani, in mezzo ad alcuni testi dedicati all’Olocausto (tra cui il bellissimo Max e Helen di Simon Wiesenthal), un volume dall’aspetto curioso più che un libro sembra un grosso fascicolo da ufficio, la copertina è grigia marmorizzata, un laccetto di raso nero annodato lo chiude, incuriosito lo slaccio e lo apro.
 Immediatamente ho un sussulto, ogni pagina è corredata da una piccola svastica sul bordo inferiore, le pagine sono mal conservate, la più parte sono dattiloscritte con annotazioni lungo il bordo destro, sfoglio velocemente e noto come le ultime quattro pagine siano invece scritte a mano, ritorno alla prima pagina, in alto campeggia una scritta in neretto e vagamente gotica  Workcamp-Ankunftsregister Birchenau.
Con il cuore in gola, mi getto di peso sulla poltrona, le mani mi tremano un poco, rileggo  Registro arrivi al campo di lavoro di Birchenau, proprio dove è stata massacrata tutta la mia famiglia, con somma angoscia comincio a girare le pagine ad una ad una.
20 Luglio 44,  nota testuale a penna: “tra ieri e oggi quasi 1600 arrivi il problema è dove metterli, per fortuna 233 sono morti nel viaggio”, noto con orrore come il nome dei morti venga sempre indicato con precisione nella pagina di sinistra, il resto è tutto con assoluta precisione dattiloscritto nomi, provenienza, classificazione, reparto di destinazione, tutto è asettico impersonale potrebbe quasi sfuggire l’orrore insito in quelle pagine, sono solo le note a mano, quelle che comunicano con sommo disgusto, la malvagità fatta uomo, hanno la capacità di marchiare a fuoco l’anima.
In preda alla nausea con le lacrime che mi scorrono sul viso continuo a leggere per ore  le cronache in “burocratichese” del martirio di migliaia di esseri umani innocenti, sembra di leggere l’asciutto impersonale inventario di un magazzino all’ingrosso, ci sono gli arrivi, i resi e le partenze, peccato che da lì se ne esca solo passando per il camino, morti.
All’improvviso un pensiero mi assale, io so quasi esattamente il giorno dell’arrivo a Birchenau della mia famiglia, il 28 Dicembre massimo il 30, lo so per certo perché il campo è stato liberato solo una ventina di giorni dopo il loro arrivo, nessuno mi ha ma saputo dare una spiegazione del perché furono tutti uccisi subito, cosa inusuale in quanto di solito almeno sei mesi si sopravviveva, convulsamente giro le pagine.
29 Dicembre 44: “Arrivato stamattina il treno dalla Boemia 760 ebrei, probabilmente l’ultimo arrivo vista la situazione in rapida e catastrofica evoluzione”.
Seconda nota a piè pagina: “Il sergente Briegel ha sbagliato i conteggi e la trascrizione degli arrivi dell’ultimo mese ci troviamo con una eccedenza di 138 deportati sarebbe necessario rifare completamente i verbali e riscriverli, una bella seccatura, ci vorrebbero almeno 2/3 ore, stasera ho già un impegno… (omissis) Chiamato il Capitano Muller al reparto eliminazione, ne ho parlato con lui, è stato comprensivo e poi non è un così grosso favore, che cosa saranno poi 138 ebrei da liquidare subito in più o in meno”.
In preda al disgusto guardo la pagina di sinistra scorro ad uno ad uno i nomi: Strauss, Goosen… eccoli: Sarah Rosenthal, David Rosenthal, Hanna Rosenthal, Uriel Rosenthal… la testa mi gira, non so come ho fatto a raggiugere il bagno, ho vomitato a metà strada tra il lavandino e il water… bastardo, bastardo li ha ammazzati tutti subito per non dover rifare i conti… sennò probabilmente si sarebbero salvati.
Senza aver chiuso occhio, la mattina immobile sul letto fisso senza vederlo il soffitto, nel ripensare a quello che ho letto sono sopraffatto da una considerazione sola: quanto possa essere mostruosamente banale il male, tutto quello trovato in quelle pagine è una anonima, asettica elencazione di numeri, un lavoro da oscuro contabile, quasi ci si dimentica che ogni numero nascondeva un persona, un anima, mio padre, mia madre, i miei fratelli.

5 Gennaio 45: “Bruciati i documenti sensibili, adesso anche noi possiamo evacuare il campo”.
Poco sotto l’ultima nota una firma, la calligrafia è la stessa delle pagine precedenti abbastanza comprensibile, Stumbannfuhrer Gustav Hessler, ecco come si chiamava l’animale, che sia maledetto!
Comincio a leggere le pagine manoscritte, noto come siano leggermente più piccole, sono state applicate in un secondo tempo questo è palese, in effetti il registro vero e proprio finisce con la nota del 5 Gennaio.
Sembrano, gli appunti di una fuga, si parla di luoghi, di persone la cui connivenza viene comprata, con molto, molto denaro pagato in oro. Non ci sono nomi, neppure date precise ma si fa riferimento ad un monastero in Croazia rifugio sicuro per gli ustascia, in un altro punto quasi alla fine della narrazione (dal tenore devono essere passati un paio d’anni dalla fine della guerra), si fa cenno con sollievo alla piena operatività dell’Odessa per essere portati al sicuro.
Ho terminato lo strazio, anche le ultime parole mi hanno ferito a morte, l’animale potrebbe pure averla fatta franca, chino il capo, disperato con la testa tra le mani, poi però un pensiero si affaccia alla mia mente: se invece il Fato per mano del mio amico Gabriel avesse voluto rendermi un ultimo favore, se invece Hessler fosse ancora vivo, se il fatto di ritrovare quello scritto nascosto tra mille altri fosse un segno che mi imponga di far luce su tutta la vicenda?
Non posso starmene con le mani in mano qualcosa devo fare, è il sangue della mia famiglia che me lo impone, devo scoprire la provenienza del fascicolo.
Gabriel era solito acquistare libri usati non solo da me, comprava anche dal polacco in Leopoldstrasse, in ogni caso gli antiquari di libri in tutta Monaco non sono più di sette-otto andrò a trovarli tutti con il volume, probabile che ne ricordino la provenienza, è un oggetto davvero molto  particolare.
Passata una settimana sono in un vicolo cieco, nessuno dei miei colleghi ha riconosciuto come proprio il fascicolo, una volta peraltro Gabriel mi aveva accennato d’aver comprato libri d’argomento storico da un antiquario a Londra ma ne ignoro il nome, l’unico che potrebbe saperne qualcosa è il figlio di Gabriel, non mi è affatto simpatico per la verità, formalmente gentile ma in nulla è simile alla garbata umanità del padre.
Lo chiamo a casa, ho conservato il numero, chiedo un appuntamento urgente, mi risponde con educazione ma con malcelato fastidio: “Venga pure stasera prima delle venti però, abbiamo amici a cena, sempre che sia cosa di pochi minuti”.

Sulla porta di casa
Alle sette della sera suonano alla porta dell’elegante palazzina in Neuhausen, vado ad aprire, “il vecchio antiquario rompicoglioni” penso tra me e me, apro, è lui tiene tra le mani un grosso libro, un registro sembra: “Buonaser, herr Rosenthal, cosa posso fare per lei?”
La voce ha uno strano tremolio: “Devo chiederle un favore è molto importante per me”, mi passa il libro che aveva tra le mani, “lo ha mai visto? Ha idea di dove possa averlo acquistato suo padre?”
Lo prendo con un briciolo di sufficienza, di fatto lo vedo più che guardarlo veramente, mai visto prima, “Mi spiace non ne ho la più pallida idea”.
Faccio per renderglielo quando un particolare attira la mia attenzione, guardo nuovamente gli appunti scritti a mano su di un margine, “Non ho risposta a quanto mi chiede, di certo però mio padre doveva averlo studiato con attenzione, vedo che è tutto pieno di appunti”. Il vecchio mi interrompe, “In che senso?”, “Beh, lo ha riempito di suo pugno di annotazioni, la calligrafia è quella di mio padre da giovane, ne sono assolutamente certo”.
Il vecchio antiquario è come impietrito, un rivolo di saliva sembra colargli sul labbro nell’angolo sinistro, faccio per rendergli il volume, mi guarda in volto ma in realtà sembra neppure vedermi, lo sguardo è perso nel vuoto poi abbassa il capo, senza una parola volta la schiena e strascinando i piedi se ne va lungo il vialetto, “Herr Rosenthal il suo libro! Dove va? Il suo libro!”
Senza una parola si è ormai allontanato, come svanito nell’oscurità di una sera bavarese…


Francesco Bagliani è nato a Genova dove risiede dal 1959. Dopo la maturità classica si laurea in Giurisprudenza nel 1985 e abbandona nel 2002 la seconda Laurea in Storia Moderna. Astrofilo, amante del tennis e del golf, tifoso accanito della Sampdoria, conoscitore e collezionista di tappeti d’arte orientali, produce birra artigianale per diletto. Ha pubblicato con SET ART Edizioni  le raccolte di racconti Ingannie La sala d’attesa. Con questo racconto ha ottenuto il primo posto nell’ottava edizione del concorso Incrociamo le penne  del 2023.

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