Ragazzo che guarda un quadro con fare interrogativo

La difficoltà dell’arte contemporanea

Molto spesso, visitando una mostra in cui sono esposte opere dei movimenti artistici del Novecento o opere dell’arte contemporanea, ci siamo trovati ad ascoltare (e in alcuni casi a condividere) commenti eterogenei su che cosa rappresentasse e su cosa significasse quanto ci trovavamo davanti.

Perché l’arte contemporanea non è capita come quella del passato? Perché le opere di Raffaello, di Michelangelo, di Caravaggio, solo per citare alcuni, sollevano ammirazione quasi unanime, mentre quest’altra forma d’arte solleva tanti interrogativi? Perché tanta parte del pubblico non vi riconosce i propri valori ? Perché spesso è oggetto di ironia, di sarcasmo, di rifiuto?

Vi è nell’arte moderna una difficoltà comunicativa che in parte si lega alla più generale crisi socioculturale del nostro tempo, in parte è dovuta a cause strutturali, interne ai vari movimenti  artistici, in parte alla mancanza di un principio organizzatore uniforme, di una ideologia che vediamo essere presente in altri periodi e movimenti artistici.

Una delle difficoltà che si incontrano nell’approccio all’opera d’arte contemporanea è la diversità di materiali, forme e soggetti: gli artisti contemporanei lavorano in un mondo influenzato a livello globale, culturalmente diversificato e tecnologicamente avanzato. La loro arte è una combinazione dinamica di materiali, metodi, concetti e soggetti che sfidano i confini tradizionali e la definizione facile. Riflettendo la diversità del mondo di oggi, in tutte le sue complessità, l’arte contemporanea riflette la vita come la conosciamo; può quindi essere contraddittoria, confusa e indeterminata.

Si fonda, quindi, su tanti codici singoli e specializzati, per la cui comprensione sono necessarie particolari chiavi di lettura, accessibili solo a piccoli gruppi in grado, di volta in volta, di acquisirle.

Il codice multiplo dell’arte del passato

Invece l’arte del  passato si avvaleva di un “codice multiplo”,  universalmente conosciuto e riconosciuto, costituito da

  1. un racconto: tratto dalla vita, dai sacri testi, dalla letteratura;
  2. una scena: tratta dal teatro, dalle sacre rappresentazioni e da altre varie forme di spettacolo;
  3. un ordine compositivo: tratto dalle regole proporzionali, dalle armonie musicali, dall’architettura;
  4. un sistema coloristico: tratto dalle osservazioni empiriche, dalle leggi dell’ottica, dalla pratica del mestiere;
  5. un simbolismo: tratto dai miti, dalle credenze; soprattutto dei modelli tratti dalla natura.

Insomma, il “codice multiplo” del passato consisteva in tanti strati di conoscenze sovrapposti, tali che ogni singola opera, per questo o quel motivo, dal più ingenuo al più sofisticato, poteva essere compresa dal maggior numero di persone di qualunque livello culturale.  In questo modo gli artisti facevano quello che oggi fanno i mezzi di comunicazione di massa, informavano ed educavano le persone attraverso le loro opere. Erano professionisti dell’immagine al servizio della committenza: basti pensare alla pittura sacra, quasi un Vangelo illustrato, con cui la Chiesa istruiva i fedeli. Oggi il codice multiplo è rimasto solo nel linguaggio del Cinema.

Ma siamo sicuri che per noi oggi è più complesso comprendere un taglio di Fontana o un sacco di Burri rispetto ad un Michelangelo del David o a un Raffaello della Trasfigurazione? Oggi che non siamo più padroni di tante di quelle conoscenze, di  quei significati simbolici? Proviamo a leggere insieme proprio quest’ultima opera.

Approfondisci: L’informale e i tagli di Fontana, Il grande cretto di Gibellina

Proviamo a leggere la Trasfigurazione di Raffaello

Raffaello, allievo del Perugino, non possedeva né la cultura di Leonardo, né la potenza di Michelangelo, eppure fu di vitale importanza per lo sviluppo del linguaggio artistico dei secoli a venire imponendosi come modello fondamentale fin quasi ai nostri giorni. Nei suoi dipinti manca totalmente il senso dello sforzo, sembra difficile considerare le sue opere come frutto di un duro lavoro. Tutto in lui contribuisce al perfetto equilibrio dell’insieme.

La Trasfigurazione realizzata fra il 1518 e il 1520, è l’ultima opera eseguita dall’artista prima di morire, ed è stata completata nella parte inferiore da Giulio Romano.

Il quadro è come diviso in due parti, in quella superiore, riprendendo la descrizione del Vangelo di Matteo (che è rappresentato nel dipinto, in basso a sinistra, con il libro aperto),  c’è il Cristo che sta ascendendo al cielo al di sopra del monte Tabor, dove secondo le fonti sarebbe avvenuta la trasfigurazione; ai suoi lati ci sono Mosè ed Elia, due importanti profeti.

A destra del quadro (alla nostra sinistra) vi sono inginocchiati Giusto e Pastore, due santi la cui ricorrenza cade il 6 Agosto, lo stesso giorno della Trasfigurazione, che sono anche i patroni della cattedrale dove il quadro avrebbe dovuto essere esposto.

Sempre sopra il monte Tabor vi sono distesi a terra, perché accecati dalla luce che avvolge il Cristo, gli Apostoli Giacomo, Pietro e Giovanni (riconoscibili dai colori delle vesti, quelli abitualmente utilizzati nell’iconografia)  che sono i rappresentanti della FEDE, della SPERANZA, dell’AMORE .

Nella sezione inferiore del quadro l’artista, riprendendo in questo caso la narrazione del Vangelo di Marco, rappresenta gli altri Apostoli che stanno cercando di liberare un ragazzo dalla possessione del demonio, per evitargli il rogo, unico altro modo ritenuto in grado di salvarlo dalla dannazione. Il ragazzo (alla nostra destra) è allo stremo delle forze, ed è solo con il ritorno del Cristo che il demone sta abbandonando il suo corpo: il potere salvifico del Cristo è al centro delle due storie, di quella che si svolge sopra il monte e di quella che si svolge sotto ed è sottolineato dal panorama illuminato dall’aurora che si vede sulla sinistra (la nostra destra), allegoria della Città Celeste.

Inoltre al centro, a fare da ponte tra la famiglia del ragazzo e il grande gruppo degli Apostoli, c’è una donna con una tunica azzurra e rosa vista di schiena e in ginocchio, che  rappresenta la Grazia ottenibile solo con la Fede.  Il suo corpo ha un andamento a “serpentina”, figura che Raffaello aveva visto nella “Leda e il cigno” di Leonardo e riproducendola rende omaggio al grande maestro.

I simboli nascosti nell’opera

L’opera è anche un quadro pieno di simboli:

  • Le figure principali della trasfigurazione formano una piramide, alla cui punta c’è Cristo e al cui interno ci sono tanti piccoli triangoli.
  • Il riflesso della luna nella pozzanghera d’acqua in basso a sinistra, ci dice che il ragazzo era epilettico: ai tempi di Raffaello si pensava che questa malattia avesse a che fare con la luna, e, infatti, veniva chiamata “morbus lunaticus” e spesso veniva interpretata come una possessione del demonio.
  • Il contrasto stilistico fra le due parti del quadro sta a sottolineare, nella parte alta, la purezza e la perfezione del Cristo, cui sono riservate le tonalità chiare; nella parte bassa, invece, c’è l’uomo con tutti i suoi difetti, circondato da caos e colori scuri.

E quindi …

Da queste succinte osservazioni, si comprende come l’arte del passato sia semplice solo ad una visione superficiale, ed invece richieda non solo conoscenze particolari ed approfondite (si pensi solo alla identificazione dei personaggi rappresentati e ai particolari che permettono di riconoscerli) ma anche la necessità di ricostruire credenze e modi di pensare in auge all’epoca della realizzazione delle opere, e che sono ormai da noi lontanissimi.  Quello che probabilmente la rende per noi  “semplice” risiede nella immediata comprensione del gesto rappresentato, quasi si trattasse di una fotografia.

Dove si trova la Trasfigurazione

La Trasfigurazione si trova nella Sala VIII, interamente dedicata a opere di Raffaello, della Pinacoteca Vaticana, facente parte dei Musei Vaticani. Ne esiste una riproduzione in mosaico all’interno della Basilica di San Pietro, nel lato sud dell’ambulacro, collocata sul pilastro posto a chiusura della navata sinistra .


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